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sabato 31 luglio 2010

Ora dico... un poesia...


Questi versi che seguono sono un mio breve e piccolo divertisment per descrivere quanto sono disperso e sparso nel mio animo. Mi sono divertito molto a scriverlo e spero vi divertiate al leggerlo.


Spirito

In una strada a senso unico,
Stretta e sdrucciolevole,
Mi sento a stento unito,
In sintonia, con il mio spirito.
Infatti, è sparito e tento di acchiapparlo sopra un tetto,
Ma al tatto è unto e dall’aspetto sparuto.

Non pensavo, poi, sarei arrivato a tanto:
Gli ho sparato (al mio spirito)!
Ora, facendo un sunto dell’accaduto,
Non essendo io un santo,
L’ho messo in un canto, l’essere mio spaiato,
E gli ho così detto: “Io sono da te attratto
E con te fuori ho il sentore di essere spiato.
Quindi senza troppo “sciato”, mentre fino a dieci conto,
Rientra in me, secondo naturale contratto, così che io sarò con te ratto!”

Arrivai a contare a cento, ma lui, sciatto,
Pur dicendogli: “ MI HAI ROTTO!!!”, se ne stava lì ritto nel vento
Senza fare uno scatto, etereo, zitto,
Quasi fosse pronto a pagare lo scotto.
Gli urlai facendomela sotto “GUARDA CHE NON MENTO!!!”
E’ un attimo! Di rabbia monto premendo il grilletto lento…
… tutto sto’ casotto e lo mancai,“CHE TONTO!”

domenica 9 maggio 2010

Murrey, la mia caccola nel mercato globale....


Ci sono momenti in cui ci si sente ingabbiati e incasellati. Questo a me è accaduto quando sono stato considerato un numero, una merce o una semplice caccola nel mercato globale. Sono stato la forza lavoro e mi sono identificato in tutti quei terrificanti numeri messi in colonna, nei casellari, nelle procedure. Per fortuna è stato solo un attimo. Beh non proprio un attimo. Si è trattato di un attimo che è durato fino alla scadenza di un contratto di lavoro. Contratto a cui si rimane attaccati come delle cozze... Anche se quello che fai ti fa venire voglia di vomitare e le budella ti si rimescolano ogni volta che ti chiudi la porta di casa dietro alle spalle. Gli unici momenti felici sono quelli in cui esci dal lavoro.

A qualcuno forse piace e interessa essere incasellato e sapere di essere inquadrato entro certi confini. Avere un ruolo nella società forse dovrebbe dare un certo grado di serenità e soddisfazione.
Si l'indefinito spaventa tutti (credo). Ma forse più che di tutti è meglio che parli di me. L'indefinito mi spaventa da morire, ma ancora di più mi spaventa diventare solo un dente di un ingranaggio. E allora in alcuni casi ben venga la confusione, il dolore, la ribellione, la perdizione. Perdersi per poter crescere è una delle strade che si possono scegliere.

In queste poche righe volevo provare a sussurrare all'orecchio della mia coscienza tutto questo. Murrey è per me la caccola del mercato globale, ma prima o poi diverrà uno splendido merdone che inizierà a scardinare e cambiare il modo di pensare.

Morte di un semplice impiegato

Sul lato dell’asfalto,

Fuori da ogni civiltà,

Fuori da ogni carità

É un prato.


Murrey non si muove, coricato

E accasciato

Su erba in bianco e nero,

Si scuote di dosso

Il corpo

Intorpidito davanti

A mega-maxi-mini schermi.


Ha scavato

In una scura cavità nasale

E nel collo di una verde, buia,

Bottiglia liquefatta.

Ha tranquillamente dormito

Sul capezzolo del bel seno,

Senza vegliare

Al capezzale del buon senso,

Ed è stato

Dimenticato

Nelle tasche fra le monete,

Nel cassetto fra le tue mutandine

O forse nel miasma anticoncezionale?


Si è svegliato in un fosso,

Emarginato solo per una notte,

E lo hanno spogliato

Dei suoi nuovi panni sporchi.

Ora cammina sull’asfalto

Con in mano la combinazione

Per una morte in serie inscatolata,

Che la disperazione tiene ai suoi polsi

Costretta.

mercoledì 31 marzo 2010

Il lato buono della tristezza



Questa mattina ero seduto sul divano e nel relax più totale mi stavo leggendo "Internazionale". Sfogliando velocemente le pagine incontro un titolo che attira la mia attenzione: Il lato buono della depressione. Un'inchiesta di Jonah Leher su come la depressione e i disturbi mentali possano essere guardati sotto un'altra luce. Infatti, secondo alcune teorie evoluzionistiche la depressione aiuterebbe a riflettere e concentrarsi sui problemi imminenti. Due studiosi, Andy Thomson e Paul Andrews, hanno ribaltato il modo di vedere la questione. Lo stato depressivo ci permette di essere più analitici e di analizzare la situazione che ci ha fatto sentire male visualizzando le diverse sfaccettature dell'evento traumatico che ci ha colpito. Semplificando si può dire che impariamo dai nostri errori. L'articolo poi sviluppa l'idea che la depressione possa aiutare le persone a diventare più analitiche e a concentrarsi sulla soluzione di un problema e che aiuti la creatività.

Ora non voglio annoiarvi con tutti i dettagli, ma mi si è accesa una lampadina formato lanterna (essendo genovese, eh eh eh) leggendo una dichiarazione di Thomson: "Il problema, tuttavia, è che la nostra società considera la depressione come qualcosa che deve sempre essere evitato o curato immediatamente. Siamo così ansiosi di eliminarla che abbiamo finito per stigmatizzare la tristezza."
Andando oltre la distinzione tra la tristezza e la depressione che lascio a chi di dovere, mi viene semplicemente voglia di gridare Yahooooooo!!!!

Quello che ho capito in questi primi anni di vita (considero di essere nato tre anni fa) è che se sono triste o sto male non ho bisogno di far finta di stare da dio. Finalmente sento qualcuno che mi dice che se sono triste per qualche motivo e ci rimugino non sono pazzo. L'educazione che ho ricevuto mi ha portato spesso a dirmi: "cavoli sono triste! Ma non devo essere triste sorridi e vai avanti, su dai!" Dentro invece ci stava qualcuno che mi prendeva a calci e diceva: "Cazzo ma stai male, piangi, disperati."

Volevo solo condividere questo pensiero. Sapere che si può essere tristi e che questa tristezza è costruttiva mi dà una speranza per un futuro più sereno (e magari più felice). Camminando nella giungla maestosa della vita ci si può ferire e si può ferire qualcun altro, la "ruminazione mentale" (traducibile in pippe mentali) può servire a non ripetere gli stessi errori. Se andate avanti sorridendo tutta la vita prima o poi vi partiranno i punti del lifting.

Un abbraccio. Con sincera tristezza
Matteo

domenica 21 marzo 2010

Alberi sulla schiena... un metodo per tornare alla realtà



La realtà era che non avevo nessuna esperienza di come ci si comporta quando si fa un lavoro di questo tipo, ma ora ho una maggiore consapevolezza: ho imparato che non bisogna mettersi sulla traiettoria degli alberi che cadono. Magari questo può essere applicato anche nella vita di tutti i giorni... non parlo di schivare alberi, ma del fatto che ogni giorno si può imparare qualcosa di nuovo, anche dalla situazione più noiosa (se non altro capiamo cosa ci annoia).
In queste ore di fatica, sudore e segatura che si depositava su di me sotto la pioggia mi sono sentito veramente bene. Il lavoro fisico e la fatica mi permettono di annullare ogni pensiero. Concentrarsi sul lavoro che si sta svolgendo e sentire il proprio corpo e i muscoli doloranti scatenano in me un senso di pace. Lavorare senza fretta, ma seguendo il proprio respiro e valutando le possibilità del proprio fisico. Lavorare e vivere con lentezza continua a darmi un senso di pienezza.
Vi chiederete se sono masochista. Non più di molta altra gente. Pagare la palestra per ammazzarsi di fatica per me è da masochisti. Se mi ammazzo di fatica almeno lo faccio con uno scopo, la legna servirà a scaldare qualcuno durante l'inverno. Tra le altre cose non pago per farlo e nelle pause posso fare due chiacchiere con qualcheduno che non parli solo di quanto si è pompato oggi.
So solo che stare all'aria aperta e farmi un mazzo tanto (per usare un francesismo da boscaioli) mi ha fatto vedere la realtà per quello che è. Mi ha fatto vedere anche chi sono e quanto posso imparare. Non che desideri farmi cadere un albero sulla schiena ogni giorno, ma mi fa piacere sapere che li posso anche schivare.

Un saluto a tutti e... godetevi il bosco!

martedì 16 marzo 2010

Il Pranzo


Mi ricordo con gioia i pranzi in campagna con la mia famiglia. Una famiglia abbastanza numerosa, un grande e bel calderone pieno di caratteri diversi. Quelle giornate avevano qualcosa di magico e di rituale. Si preparava insieme il pranzo e la tavola, ognuno era impegnato e si condividevano nei piccoli gesti la vita. Era tutto molto semplice, ma allo stesso tempo, almeno ai miei occhi, tutto assumeva una grandissima importanza. I gesti e il lavoro dei singoli erano tutti mirati a creare un momento di condivisione profonda.

Queste splendide giornate, che hanno dato un colore caldo alla mia infanzia, hanno fatto si che io consideri il cibo non solo benzina per il corpo, ma anche benzina per l'anima. Mangiare è un piacere e una preghiera allo stesso tempo. Scherzare e ridere intorno a un tavolo è stato il modo per poter conoscere realmente le persone che sono importanti per me.

Quindi BUON APPETITO!

IL PRANZO

Non toglietemi

Un tavolo lungo,

E ridatemi

La gente che schiamazza

Che mastica, sputazza

Ravioli fatti a mano

Distesi là in cucina.


Distesi al sole

Dai pugni del vino,

Che ridono,

I grandi si stiracchiano

E ammazzano il caffè,

Non portano cinture

E si lasciano volare.


Ridatemi

Uomini e donne

Sbracati

Non voglio colletti tirati,

Ma l’ebbrezza del sole,

La coscia dell’agnello

Che unge le mie orecchie,

L’unta tovaglia

Che porta il vero sapore

Di allegro sudore

E si immerge nel sugo

L’odore

Dei commensali di vita.

venerdì 12 marzo 2010

Fantasia?



Tutti i giorni riceviamo diversi stimoli. L'incontro con una persona, un avvenimento inaspettato o la visione di qualcosa sotto una nuova luce. Bhe! riuscire ad osservare l'ambiente circostante con occhi diversi può aprire a nuove prospettive. La fantasia non è più un fantomatico super potere, ma è un pregio che ha ognuno di noi e che può essere allenato. Usare la fantasia può essere un gioco divertente per raccontare la realtà in modo differente, deformandola con una lente che possediamo tutti. La fantasia nasce dalla realtà e dall'esperienza. La fantasia prende corpo ed è reale.

La fantasia per me in queste poche parole ordinate e incolonnate è una droga naturale, un ritorno all'infanzia.


Salita S. Barnaba 25/4 (cesso)

Seduto tra orsi ed elfi

Sulla torre d’avorio,

Trattieni, costipato,

Un fardello pesante,

Inibito dai loro

Sguardi fissi, che escono

Da sotto il lavandino

(Il grande “Lago Bianco”),

Strappati con la forza

Dalle troppe fantasie

Che si stipano in testa.

Il pavimento vive

Nel suo marmo screziato

Di storie senza fine.

Macchie con un copione

Combattono nei campi

Battaglie sanguinose.

È nel sangue, che cade

Dal naso, che nuotano

Felici i Nani Stronzi,

Smaniosi di tagliare

L’Albero Inebetito

(Troppo distrutto dalla

Vista delle sue foglie

Morte a terra sul colpo

Per far ombra a dei bonzi).

E tu non ti liberi

Finché non ti chiamano

Finché non ti chiedono

Come lo sciacquone abbia

Lavato la tua testa.

giovedì 11 marzo 2010


Ho deciso che ritorno a scrivere sul blog. Dopo pochissimi post e un lungo periodo di silenzio, ho deciso di coltivare i miei interessi e condividerli con chi ne avrà voglia.

Quindi rincomincio con quello che mi appassiona di più: la poesia. Questa, secondo me, è la forma di comunicazione che arriva diretta all'anima. E' il coltello che affonda nelle ferite di chi scrive riaprendole e curandole allo stesso tempo. Il piacere e il dolore non sono così diversi. Sono dei nodi che si presentano nella corda della nostra vita. La poesia può scioglierli o mostrarli per quello che sono?
Qui direttamente dalle mie viscere sono nati questi versi. Lascio a voi le conclusioni.

Crepaccio
Il mio cervello è un crepaccio
Che sbrana ogni singolo pensiero,
un abisso che trascina giù,
in un mulinello, ogni mio organo:
Ora li cerco a tastoni, (Cacciatore cieco)
nel buio, sulla terra nel profondo,
o attendo che me li porgano…
“PASSAMI ALMENO UN POLMONE!
HO VOGLIA DI RESPIRARE!!
O UN OCCHIO, GIUSTO PER POTER CERCARE!!”
Urlo,(sono stato lasciato qui, il corpo smembrato
(atterrito))
E ti sento lontana (o vicina? Dove sei?)
(e come diavolo faccio? Niente gola, lingua o altro…)
“Ma no! Lasciamo stare”- Penso –
“Meglio sbattere e non vedere.
E’ più facile credere e cadere,
E’ più facile non distinguere tra soffrire e godere
Soffocati nel buio da miliardi
Di lettere, parole, bivi da scegliere
E tagliole lasciate lì (BASTARDI!!!) da pii tagliagole.”
Il dolore è lancinante…
O no?! Forse non ho più neanche
Un nervo…
Ah eccone lì uno! Solo allo scoperto
Non scappa e non si muove
Chiede solo di non sapere.